La Rabatana

Rabatana è un quartiere di Tursi che deve il suo nome alla presenza dei Saraceni, che si installarono nella città all’incirca nel periodo 850-930 d.C. Il nome deriva infatti dall’arabo rabad, che significa borgo. Situato nella parte più alta dell’abitato, la Rabatana è circondata da valli e burroni, un quartiere silenziosissimo, un luogo di pace che poggia su un costone di timpa.

Facciamo la conoscenza di Salvatore Di Gregorio, che ha acquistato un’abitazione tipica nell’antico borgo. Con cura e pazienza si è dedicato alla pulizia della stessa, dopo anni di abbandono da parte dei tanti eredi, curandone l’anima e riportando alla luce le storie con cui questa casa si è nutrita per decenni.

Ha ritrovato alcuni oggetti: una piccolissima foto di una famiglia patriarcale tra le fessure di una parete; un’antichissima anfora di terracotta, attualmente oggetto di studio, che creano un forte legame con il passato, ancora presente. Conoscitore del territorio tursiano, ma non solo, Salvatore ha rinvenuto anche una serie di botroidi, particolari formazioni geologiche, che si formano per la deposizione di carbonato di calcio in sabbie e sedimenti pliocenici. Questi sassi vengono anche chiamati “pupazzi di pietra”, per la loro assomiglianza a piccole sculture antropomorfe. La casa di Salvatore è un bellissimo luogo dove perdersi, ascoltando i suoi racconti.

Nella parte più antica, oggi disabitata, si trova la chiesa di Santa Maria Maggiore, edificata nel Cinquecento sulla primitiva chiesa, costruita dai monaci basiliani nel IX secolo. La chiesa conserva vere e proprie opere d’arte tra le quali un trittico di fine ‘300 con al centro la Madonna col Bambino in trono, attribuita ad un autore fiorentino della scuola di Giotto. All’interno della cripta, decorata da splendidi affreschi, si può ammirare l’incantevole presepe in pietra scolpito attorno al 1550 dallo scultore Altobello Persio (1507-1593). È il risultato di un accurato lavoro attraverso il quale l’autore ha plasmato la materia per dare forma e colore alla Sacra Famiglia.

Basta allontanarsi un pò dalla Rabatana per imbattesi nel Convento intitolato a San Francesco D’Assisi è appartenuto all’ordine dei frati minori Osservanti. Una Bolla Papale riporta i natali della struttura al 1441, anche se al suo interno è stato ritrovato un affresco che risale al 1377. Il convento prosperò sin dall’inizio, ospitando cattedre di professori e diventando un centro culturale di enorme importanza.

Nel 1807 iniziano i primi sfortunati avvenimenti: un saccheggiamento, un incendio della biblioteca da parte dell’esercito francese di Napoleone Bonaparte e un violento terremoto nel 1857. La proprietà passò al demanio e di qui fino al 1894 divenne un cimitero. Per tutto il secolo successivo è stato oggetto di atti vandalici, a danno dei morti sepolti all’interno della chiesa, oltre che nei suoi pressi. Le ragioni che hanno spinto i responsabili a tali barbarie sono purtroppo solamente ipotizzabili.
Nel 1914 fu chiuso definitivamente ad esclusione della cappella e del campanile che vennero utilizzati fino agli anni ’60, nel giorno della festa di Sant’Antonio, durante la processione del 13 giugno.

Nonostante gli sfortunati eventi, nel 1991, grazie alla sua bellezza storica e architettonica, è stato dichiarato monumento nazionale dal ministro Ferdinando Facchiano, ma la il recupero di questo luogo sempre ancora molto lontano.

Se decidete di passare dalla Rabatana, cercate la bottega di Salvatore, vi parlerà dei segreti di questo luogo, sospeso fra spazio e tempo, custode di una civiltà perduta.


La famiglia a Cipro.

Oggi voglio raccontarvi del nostro viaggio a Cipro.

Sono passati alcuni mesi, ma parte del nostro cuore è ora lì.

L’isola di Cipro, pur trovandosi in medio oriente è un’isola europea, contesa tra due Stati, Grecia e Turchia. La parte sud è greca, la Repubblica di Cipro, al nord invece c’è il territorio occupato, dalla metà degli anni ’70, dalla Turchia, uno stato non riconosciuto dalla comunità internazionale. Seppur divisa, l’isola vive pacificamente con due culture, religioni, lingue, monete diverse e sa donare veramente tanto.

La divisione è ben visibile nella capitale Nicosia, la cosiddetta “linea verde”, che si può facilmente attraversare a piedi, passando dal check point, muniti di passaporto.

La parte greca di Nicosia è abbastanza moderna, il centro storico all’interno delle mura è un dedalo di vie che convergono in via Lidras, una lunga via pedonale piena di negozi e locali che porta al check point.

Prima di passare nella parte turca visitiamo il Museo Municipale Leventis dove sono esposti reperti archeologici, costumi, fotografie, ceramiche, mappe e dipinti che raccontano oltre 5.000 anni di storia di Nicosia. Il Museo ha una galleria dedicata a Caterina Cornaro, ultima regina di Cipro.

Tra difficoltà, insidie e congiure, Caterina governò Cipro, appena diciannovenne, per quindici anni finché, alla fine di febbraio 1489, non consegnò il regno, ereditato dal suo defunto consorte, nelle mani della Serenissima.

Il mito immortale di Caterina Cornaro è giunto fino ai giorni nostri anche grazie al corteo acqueo che ogni anno apre la Regata Storica di Venezia.

Oltrepassiamo il confine senza problemi, ma non nego di aver sentito un pò di tensione, quando mio figlio mi ha consigliato di usare il telefono in maniera discreta, poichè trattasi di una zona militarizzata, con alcune restizioni vigenti.

Tutto si placa oltrepassando la zona cuscinetto: qui le strade profumano di carne alla griglia, la gente ti avvolge con il suo vociare, il colore predominante è il giallo ocra degli edifici e il rosa acceso delle enormi bouganville. Subiamo il fascino dei mercati, delle bancarelle, piene di stoffe colorate.

Lasciamo questa parte di Nicosia troppo presto, ma con la promessa di ritornare quanto prima.

Passeggiando per la parte greca di Nicosia vi imbatterete nella bellissima chiesa di Panaghia Faneromeni, affacciata sull’omonima piazza, animata dai vari locali all’aperto. Allìinterno si possono osservare icone dorate e tanto bianco, testimonianza di uno stile misto tra chiesa romanica e neoclassica.

Ci troviamo a Cipro nella settimana pasquale, tra tradizioni secolari, un forte senso di comunità e celebrazioni che fondono spiritualità e gioia. Le Chiese sono addobbate magnificamente.

Lasciamo il centro cittadino e percorriamo le caratteristiche mura veneziane: una cinta circolare che racchiude sia la parte settentrionale che quella meridionale della città vecchia, costruita per tenere lontani dalla città gli invasori ottomani.  Le mura ospitano il Monumento alla Libertà (Monumento di Eleftheria), eretto nel 1973, che commemora la liberazione dal dominio britannico. Nella cinta muraria si aprivano tre porte ci accesso alla città, la porta più orientale e la meglio conservata è quella di Famagosta.

Cipro è una terra bellissima, di cui parlerò ancora. Ma è tempo di rientrare, Niko e Andry ci attendono a casa 🏡❤️.

Foliage a Sasso di Castalda.

Sasso di Castalda è meta di tanti turisti che desiderano vivere l’emozione di attraversare uno tra i ponti tibetani più alti e lunghi del mondo. Qui, nell’aprile 2017, proprio a due passi dal centro storico del paese, lì dove si apre il cosiddetto “fosso Arenazzo”, sono stati inaugurati due ponti tibetani di grande effetto scenico: il primo, lungo 95 metri e sospeso ad una altezza di trenta metri circa, il secondo – detto della luna in onore di Rocco Petrone, nato a Sasso di Castalda che lavorò alla Nasa – è lungo 300 metri ed è sospeso a 102 metri di altezza.

La nostra domenica è stata particolarmente fredda, con un fortissimo maestrale pronto ad avvolgerti in una folata, appena lasciavamo la parete di roccia che avevamo a protezione. Il “ponte della Luna” era chiuso, mentre sul ponte più piccolo vi erano alcuni avventurieri, che fluttuavano letteralmente in aria. Intorno a noi il paesaggio meraviglioso della Val d’Agri e sotto di noi 102 metri di vuoto e natura, visibili dalla terrazza sky-walk in vetro.

Sasso di Castalda, piccolo borgo arroccato su una rupe con le sue antiche case di pietra, riserva ben più di una sorpresa, tra i saliscendi delle sue stradine e le sue piazzette, in un’atmosfera d’altri tempi.

Pittoresca la zona della Manca, uno dei quartieri più antichi di Sasso di Castalda dove è ben visibile la stretta connessione tra i suoi edifici e lo strato roccioso su cui poggiano. In questo quartiere che conduce alla Chiesetta della Madonna delle Grazie, una delle aree più suggestive del borgo, viveva la popolazione più povera.

Sulla collina che si erge a poca distanza dal borgo, sorge un‘oasi faunistica dove vivono esemplari di cervi in semilibertà. Un posto bucolico, ma dei cervi nemmeno l’ombra.

A Sasso di Castalda, inoltre, si trova una delle faggete, definita da molti, tra le più belle d’Italia: la faggeta di Costara, ad oltre 1000m di altitudine. Un luogo magico, infuocato dai colori dell’autunno. Gli alberi sono enormi e l’effetto ottico della profondità è impressionante, difficile tradurlo con una fotografia. All’interno dell’area boschiva si erge il faggio di San Michele, il più anziano tra gli alberi secolari. Sono più di 300 anni che è sempre lì, ma nonostante le nostre ricerche, non siamo riusciti a trovarlo. Sicuramente eravamo a pochi passi, volteggiando tutt’ intorno.

Il Sottobosco è veramente pulito e tra le foglie silenziose si percepisce il battito sommesso della vita.

Sulle sponde del Lao

Abbiamo trascorso una piacevole domenica autunnale nella Valle del Lao, alla scoperta di Laino Borgo e Papasidero, due Comuni del Parco Nazionale del Pollino, immersi nella valle.

Laino Borgo è incastonato come una gemma e si snoda in un dedalo di viuzze, affrescate da una serie di murales che raccontano squarci di vita vissuta, oggetti, prodotti tipici e simboli del Paese, in una sorta di book fotografico a cielo aperto.

Il territorio è attraversato dal fiume Lao che genera un canyon profondo di circa 200 metri, rendendo il paese uno dei punti di riferimento più importanti per il rafting in Calabria. Noi abbiamo intrapreso un trekking semplice, quasi sempre costeggiando il fiume, all’inseguimento degli avventurieri del rafting, prima che questi scomparissero all’interno della gola, ingoiati dalla potenza dell’acqua. Siamo rimasti seduti sulle rocce ad ammirare l’impetuosa corrente, ascoltando il suono fragoroso dell’acqua sulle rocce, che da millenni scolpisce questi luoghi.

Fino al XVI secolo Laino Borgo era annesso a Laino Castello e formavano un solo Comune denominato semplicemente “Laino”. In una sorte abbastanza tormentata i due borghi sono stati unificati e divisi più volte a seconda delle situazioni politiche che si avvicendavano. Un’evoluzione storica che è terminata nel dopoguerra, precisamente a ottobre del 1947, con la loro scissione definitiva. 

La parte più caratteristica di Laino Castello è il suo centro storico arroccato sul colle S. Teodoro sulla cui sommità spicca il Castello Feudale: “CastrumLayni ” costruito dai Longobardi come luogo di difesa contro il nemico bizantino, divenuto, successivamente, il capoluogo di uno dei sette Gastaldati più importanti dell’Italia Meridionale. Posto su uno sperone di roccia sul punto più alto del colle, di cui oggi esistono i ruderi con bastioni speronati a torretta, adibito a cimitero comunale, gode di uno scenario incantevole e domina tutta la valle al fondo della quale scorre il fiume Lao. Qui la natura regna incontaminata.

Lasciamo Laino Castello e procediamo verso Papasidero. Raggiungiamo, dopo centinaia di curve, la Grotta del Romito, localizzata all’interno di uno stretto canyon che offriva protezione e riparo. Qui, un giorno un pastore, trova incisa su una pietra, la raffigurazione di un Uro (Bos primegenius), il più importante capolavoro figurativo che l’attività artistica del Paleolitico ha lasciato in Italia Meridionale

Correva l’anno 1961 e la notizia del toro sulla roccia si sparge velocemente, Paolo Graziosi, professore di archeologia e paleontologia all’Università di Firenze, organizza subito una missione studio. Il toro viene completamente portato alla luce e appare nella sua interezza: l’artista paleolitico aveva raffigurato con grande naturalismo il muso con le corna, l’arco del dorso, la coda e le zampe con gli zoccoli. Il tutto inciso a bulino.

L’importanza di Papasidero a livello europeo è legata alla presenza di evidenze paleolitiche, arte rupestre, sepolture (9 individui in tutto), reperti che coprono un arco temporale compreso tra 23.000 3 10.000 anni fa, ed hanno consentito la ricostruzione delle abitudini alimentari, della vita sociale e dell’ambiente dell’Homo Sapiens.

Ultima tappa di questo bel viaggio in Calabria, la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli a Papasidero che sebbene sia stata ricostruita nel XVII secolo, testimonia ancora la presenza dei monaci bizantini, detti basiliani per distinguerli dai monaci di osservanza benedettina.

La sua architettura è una fusione armoniosa di storia e sacralità che si staglia maestosa e si fonde con l’ambiente circostante, abbracciato dal dolce riecheggio delle limpide acque del fiume Lao.

La Calabria riesce a placare la mia ricerca di bellezza nella natura e nei borghi.

Oriolo e Castroregio.

Nato come fortezza per difendersi dagli attacchi del popolo Saraceno, Oriolo è un piccolo borgo medioevale al confine con la Basilicata ai piedi del Pollino, in provincia di Cosenza. Si trova a 450 metri sul livello del mare e racchiude tra i suoi vicoli storie e piccole bellezze da scoprire: un castello, chiese e vecchi ruderi, oltre che leggende.

Simbolo incontrastato del borgo il suo Castello, che conserva intatta la struttura originaria, caratterizzata da due torri di guardia e il mastio attorno a cui si sviluppa l’intero corpo. Restaurato di recente, il castello è visitabile ed è sede di eventi e mostre presso i diversi ambienti che lo compongono: la Sala dei Banchetti, quella delle Udienze, il Salone delle Bandiere, gli ambienti militari e la preziosa Camera da Letto di Margherita Pignone del Carretto, con la cupola affrescata con un Trionfo di Apollo.

Il centro storico di Oriolo è davvero affascinante, grazie alla sua conservazione impeccabile e alla struttura medievale ancora intatta. Passeggiando si possono ammirare vari palazzi nobiliari e cappelle devozionali, costruite sia da famiglie influenti sia dall’Università del borgo.
Di fronte al castello sorge l’altro riferimento architettonico del borgo medievale, la splendida Chiesa Madre di San Giorgio. L’origine normanna dell’edificio è attestata dalla presenza dei due leoni monumentali posti a guardia dell’ingresso centrale e datati 1264. La chiesa custodisce due importanti reliquie, rispettivamente appartenute a San Giorgio e a San Francesco da Paola.

Il territorio di Oriolo è uno scrigno di sorprese nascoste, che talvolta emergono per caso, come accaduto in occasione di alcuni lavori di manutenzione che hanno riportato alla luce, a 5 m di profondità sotto l’abitato, i resti di un Convento Francescano del 1439. Abbiamo percorso il centro storico con un abitante del posto, tornato in paese con una missione: resituire alla comunità un pò di quello che lui ha ricevuto.

Con lui abbiamo esplorato il centro storico, una serie di antichi e bellissimi palazzi nobiliari ed il Museo della Civiltà Contadina, ascoltando quelle narrazioni orali che vengono tramandate e alle quali spesso si aggiungono particolari o anche stravolgimenti, ma dove si trova, alla fine quasi sempre, un fondo di verità.

Da Oriolo ci siamo spostati in cima a una delle terre più antiche e autentiche della Calabria, qui il tempo non ha fretta e la bellezza si misura con il silenzio. È Castroregio, borgo arbëresh incastonato tra rocce, cielo e vento, dove la storia cammina ancora tra i vicoli e la natura abbraccia ogni cosa. Dal belvedere lo sguardo attraversa vallate, segue le pieghe del terreno, accarezza le cime delle montagne, fino a toccare il blu del Mar Ionio.

Le tradizioni sono vive e lo senti passeggiando, ascoltando i pochi abitanti che convergono nel punto focale del paese.

Uno dei luoghi di maggior interesse è la Chiesa dedicata alla Madonna della Neve, risalente anch’essa al XVII secolo e di stile bizantino. Questa chiesa è una delle più antiche dell’intera Eparchia di Lungro.

Nella Calabria, in qualsiasi posto tu sia, senti il forte legale che c’è tra cielo, terra e mare.

Calabria da amare: San Nicola Arcella, Praia a mare, Maratea.

In Calabria ci sono tanti piccoli e deliziosi paesi che meritano di essere visitati, proprio come le gemme che si inseriscono con eleganza nella suggestiva Riviera dei Cevri. Il tempo a disposizione non è stato molto, ma ci ha ugualmente permesso di scoprire parte di questo territorio, tra panorami mozzafiato, acque cristalline e un’atmosfera tranquilla.

Abbiamo iniziato la giornata a San Nicola Arcella con la visita alla spiaggia dell’Arco Magno. Ci sono diversi modi per raggiungerla e alcune regole da rispettare: dal 2023 è stato stabilito un biglietto d’ingresso e un tempo massimo di permanenza, individuato in 20 minuti. Questa misura è stata adottata per preservare il luogo, evitando il sovraffollamento durante la stagione estiva.

La prima modalità per arrivare all’arco si snoda attraverso un percorso a piedi, di poco più di 10 minuti. Si parte con una ripida scalinata, scolpita nella roccia, per ammirare la bellissima baia di San Nicola Arcella e il mare dalle mille sfumature di blu.  In lontananza, spicca la torre Crawford e, sul promontorio, si erge il maestoso palazzo dei Principi Lanza.

Arrivati in cima, è imprescindibile fermarsi per ammirare il panorama che abbraccia il Golfo di Policastro, con l’isola Dino che si staglia maestosa di fronte. Si prosegue avvolti dalla macchia mediterranea sino a quando Inaspettatamente la costa si apre con un grande arco roccioso e il mare si stringe creando una baia, dal colore intenso.

L’acqua è limpidissima e in alcuni tratti veramente fredda, per la presenza di una sorgente di acqua dolce nella grotta situata a pochi passi dalla riva. Restiamo per un po’ distesi sulla spiaggia, a godere della tranquillità che questo posto riesce a trasmettere.

E’ arrivato il momento di visitare questo luogo anche da un’altra prospettiva, così prenotiamo una gita in barca. Da qui in avanti la costa di San Nicola si presenta particolarissima per un intervallarsi di rocce a strapiombo e acque che vanno dal blu al turchese.

La barca si avvicina all’arco, sin dove è consentito. Anche dal mare la sua bellezza non cambia.

Riprendiamo la rotta verso l’isola di Dino, la più grande delle due isole calabresi, conosciuta per le sue coste rocciose formatesi per stratificazioni laviche ma soprattutto per la “Grotta Azzurra. La particolarità della grotta nelle ore diurne è il suo colore azzurro acceso che si riflette su tutte le rocce all’interno, regalando uno spettacolo incredibile. La sosta per il bagno non poteva mancare. Il giro prosegue costeggiando il “frontone” dell’isola, per arrivare a far visita al santuario della “Madonna dei pescatori” sul lato nordest, posta qui a protezione dei pescatori e di chi va in mare. Di qui in avanti la costa si alza maestosa con pareti a strapiombo color arancio che si riflettono nel blu indaco dell’acqua. L’isola costituisce una sorta di protezione della costa, cingendola, con un mare calmo dalle correnti esterne.

Verso la metá degli anni ’80 l’isola venne venduta a Gianni Agnelli, oggi sull’isola vengono organizzate escursioni di trekking.

L’antico paese di San Nicola Arcella appare in alto, nascosto dietro il costone di roccia, protetto dai nemici che arrivavano dal mare. Ci avvicianiamo all’antica “Torre Crowford” primo avamposto di difesa e costruita per l’avvistamento dei Saraceni, divenuta nel 1800 dimora estiva dello scrittore Francis Marion Crowford, colui che ha ideato il genere horror.

Prossima tappa di questa giornata il Cristo Redentore di Maratea. La strada che da Sapri porta a Maratea si snoda come un anaconda. Non sono alla guida, ma non riesco comunque a godermi lo spettacolo che mi dona il mare, a causa dei miei problemi di vertigine.

Nonostante ci sia sulla cima un parcheggio, decidiamo di lasciare la macchina lungo la strada, percorrendo un tratto del cammino di San Biagio, il santo che dà il nome al monte. La leggenda vuole che nel 732 d.C. una nave, che trasportava le reliquie di San Biagio fu costretta ad attraccare nell’isolotto di Santojanni a causa di una tempesta. Una volta passata la burrasca, non ci fu modo però di riprendere il largo e i devoti elaborarono il fatto come un segnale di dover custodire proprio in quel luogo i resti del santo.

Ci limitiamo alle ultime tappe ma è ugualmente suggestivo, con panorami incantevoli, sospesi nell’aria.

Nella fase finale della salita percorriamo i ruderi della città antica medioevale, distrutta, dopo un lungo assedio, dall’esercito napoleonico nel 1806. Il borgo si avvale del nome “castello”, per le fortificazioni, torri e bastioni da cui era caratterizzato, mentre la Maratea che conosciamo si avvale del nome di “borgo”.

Continuiamo l’ascesa e così d’improvviso, ad un’altitudine di 620 metri, appare imponente con il suo abbraccio la Statua del Cristo Redentore, di un bianco accecante,in netto contrasto con l’azzurro del cielo e del mare.

La storia della statua è legata al Conte Stefano Rivetti di Val Cervo, venuto da Biella nel 1953, e all’artista fiorentino Bruno Innocenti. Si tratta di un’opera di cemento armato rivestito da un impasto di cemento bianco e marmo di Carrara, alta 21 metri. Tali dimensioni la rendono, nel genere, la più grande d’Europa.

Il Cristo non rivolto verso il mare ma verso l’interno, in un interminabile abbraccio alla Lucania.

Castello di Monteserico, Irsina e Tricarico. Basilica da amare.

La Basilicata è una delle regioni che amiamo, tutta da scoprire, terra di bellissimi paesaggi naturali, dove le tradizioni popolari regnano incontrastate.

Arrivare al castello 🏰 di Monteserico non è stato semplice, nonostante alcune indicazioni abbiamo percorso una strada abbastanza sconnessa, che aveva però in sé il fascino di essere la strada più solitaria di tutte, lungo una terra rarefatta, di case silenziose e sparse.

Il castello emerge solitario dai campi gialli. Una fortezza di epoca normanna, anche se alcune tracce fanno pensare a fondamenta più antiche. La costruzione conobbe il suo massimo splendore grazie a Federico II che amava soggiornare qui per la presenza di uccelli rapaci, che tanto adorava.

Meraviglioso è il panorama, con la valle che corre verso l’infinito.

Un’abitante di Genzano ci coinvolge con la sua narrazione evocativa di questi luoghi durante la Riforma agraria, l’assegnazione delle case coloniche e dei terreni che, però, non sortirono gli esiti sperati. L’isolamento dei poderi, la limitata o mancata costruzione di infrastrutture, di opere per l’irrigazione e la mediocre qualità di molti territori determinarono ben presto l’abbandono dei fondi assegnati con la conseguente emigrazione, che lasciò le case coloniche e i borghi rurali dimenticati nell’oblio. Quest’uomo sognatore e dall’animo nobile e’ ancora qui.

Ci spostiamo ad Irsina, che dalla sua posizione domina incondizionata su tutta la Valle del Bradano. Il nome Irsina è stato dato solo nel 1895, prima il paese si chiamava Montepeloso, dal greco plusos, terra fertile e ricca.

Il centro storico è costruito su uno sperone di roccia, circondato dalle antiche mura di cui sopravvivono due torri cilindriche e due porte: la Porta Maggiore e la Porta Lenazza. Anche qui come Matera si trovano abitazioni scavate direttamente nella pietra, un tempo semplici ricoveri e successivamente vere e proprie case-grotte in cui vivevano in promiscuità uomini e bestie. L’ingresso dalla Porta Maggiore ci porta in una piazzetta con un Belvedere affacciato sulla Valle del Bradano da cui è possibile abbracciare in un colpo d’occhio l’estensione dei seminativi che circondano il paese, di un giallo oro intenso.

Accanto a queste antiche abitazioni si incontrano anche eleganti palazzi signorili con stemmi ed epigrafi, testimoni del passato nobiliare della città. Molti di questi palazzi sono oggi nell’elenco dei luoghi del FAI, in attesa di essere valorizzati.

La Cattedrale della città risale al 988 ed è stata oggetto di più ricostruzioni. Molti sono gli elementi preziosi della chiesa, ma su tutti spicca la scultura di Santa Eufemiain pietra. Si presenta con una mano nelle fauci del leone come simbolo del martirio, mentre nell’altra sorregge un triplice monte sormontato da un castello che rappresenterebbe proprio Montepeloso. È un pezzo raro attribuito al Mantegna e giunto a Irsina grazie alla ricca donazione di un notaio originario di queste parti.

Da non perdere nella visita ad Irsina la cripta della Chiesa di San Francesco.

Si pensa che la Chiesa anticamente fosse un castello costruito da Federico II di Svevia, uno dei tanti sparpagliati fra Puglia e Basilicata. Non ci sono però prove a testimonianza di questa leggenda. La cripta conserva un bel ciclo di affreschi commissionati tra il 1370 e il 1373 ad artisti di scuola giottesca da Margherita D’Angiò e da sua figlia Antonia Del Balzo, futura regina di Sicilia (entrambe ritratte tra i personaggi affrescati).

La cappella è molto interessante sia per gli aspetti artistici, che testimoniano i molteplici influssi di scuola fiorentina, sia per le vicende storiche legate alla cripta, dal momento della fondazione alla riscoperta, avvenuta ai primi del ‘900, grazie allo storico Michele Janora e all’intervento della Contessa Margherita Nugent.

Su consiglio di un abitante di Irsina, ci dirigiamo verso Tricarico, per il raduno delle maschere Antropomorfe.

A differenza della maggior parte delle feste religioso-popolari, che in seguito sono state assorbite e trasformate dalla religione cristiana, questo evento si distingue per il mantenimento del suo spirito tipicamente pagano, che risuona potente tra le danze. Numerosi studiosi collegano questa festività alle antiche tradizioni dei Saturnali romani, ma è certo che le sue radici affondano ancor più profondamente nelle antiche celebrazioni legate alla fertilità dei campi. Con l’uso di colori vibranti e costumi sfarzosi, le comunità cercano simbolicamente di comunicare con la natura, invocando la vitalità dormiente che attende sotto il gelido mantello invernale. Il festival di Tricarico, da oltre 12 anni, si pone come punto di incontro di queste feste e riesce a richiamare gruppi di comunità sia italiani che esteri: Bolivia, Portogallo, Romania Spagna, Africa. Dalla nostra amata Puglia vi erano i gruppi di Sammichele di Bari, Corato e Lecce.

Addentrandoci per le vie di Tricarico, scopriamo l’importanza strategica di questo luogo e della sua Torre Normanna, punto più alto e più suggestivo della città, da cui era possibile osservare e controllare militarmente un territorio vastissimo.

Il centro storico custodisce dei tesori insospettabili, tra edifici di inestimabile valore e importanti manufatti. Nel nostro girovagare un abitante ci ha condotti alla Chiesa di Santa Chiara, una delle chiese più suggestive di tutta la collina materana, con un soffitto ligneo con intagli in oro zecchino ed una cappella completamente affrescata da Pietro Antonio Ferro, considerato uno dei più importanti artisti della Basilicata del 1600.

La Basilicata è una terra veramente bella, ancora poco assediata dal turismo, ideale per un viaggio nell’Italia più autentica, tra arte, storia e natura, a costi ancora economici.

Compleanno a Firenze

Non ci sono dubbi, viaggiare con il sole è il sogno di tutti, beccare un meteo super favorevole però non è sempre così facile. E questa volta temporali e cieli grigi hanno accompagnato il viaggio in Toscana.

Ci siamo armati di cappucci e ombrelli e abbiamo inziato la nostra esperienza in via della Scala, nel centro di Firenze, dove si trova l’Officina di Santa Maria Novella, un luogo quasi segreto che da fuori non si nota.

Tutto è inziato con i frati domenicani che, a partire dal 1221, iniziarono a coltivare, nel piccolo orto adiacente la chiesa di Santa Maria Novella, le erbe officinali che servivano per preparare i medicamenti, i balsami e pomate per la loro piccola infermeria.

Oltre ai prodotti curativi, i frati iniziano la vendita dei profumi, accessibili solo ai più ricchi e fu nientemeno che Caterina de’ Medici, nel 1533, a commissionare il suo profumo. Per lei fu creata un’acqua a base di essenze di agrumi, con una predominanza di bergamotto di Calabria, tutt’ora prodotta.

Gli ambienti sono molto suggestivi: i soffitti sono decorati con affreschi della prima metà dell’Ottocento, i pavimenti in marmo risalgono al 1840 e le stanze sono decorate con vasi originali del 1600. Un luogo veramente inebriante e magico.

Questa incredibile città offre sempre qualcosa di nuovo ed inaspettato, come i curiosi finestrini aperti dalle famiglie fiorentine, sulle facciate dei propri palazzi, per la vendita diretta del vino a fiaschi. Una tradizione iniziata a Firenze cinquecento anni fa, al tempo dei primi granduchi, e poi diffusa in tutta la Toscana anche grazie al “distanziamento sociale” ordinato dal granduca Ferdinando II per combattere la peste, nel 1630.

Una tregua metereologica ci consente di salire su una delle terrazze nel centro città. La splendida cupola della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, simbolo di Firenze, del Rinascimento e dell’umanesimo.

La bellezza da qua sù è amplificata.

Fu costruita tra il 1420 e il 1436 su progetto di Filippo Brunelleschi, come la fiamma di una candela, così da permettere alla struttura di elevarsi curvando in modo graduale. Per far sì che la cupola fosse autoportante l’architetto progettò una struttura molto simile a quella di una botte.

Nella lista dei luoghi insoliti da visitare, non può mancare Palazzo Medici Riccardi, la casa del Rinascimento, in cui hanno dimorato Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico.

Queste mura hanno visto passare i più grandi artisti del tempo come Donatello, Botticelli, Benozzo Gozzoli, Paolo Uccello ma anche letterati e dotti. Era il 1444 quando Cosimo il Vecchio commissionò la realizzazione del palazzo, che sarebbe diventata la casa di famiglia.

Nel 1494, ci fu la cacciata dei Medici da Firenze e quel palazzo di recente costruzione, entrò a far parte delle proprietà del governo repubblicano. La storia è fatta di corsi e ricorsi ed infatti quando fu eletto il papa Leone X de’ Medici, la famiglia Medici si riappropriò dei propri averi, palazzo compreso.

Nel 1659 Ferdinando II de’ Medici cede il palazzo, dietro lauto compenso, al marchese Gabriello Riccardi che lo ampliò, lo ammodernò secondo il gusto barocco dell’epoca. Il palazzo, che prende il nome dal Ricciardi, è ricco di bellissime opere tra cui:

  • il grande affresco, di Luca Giordano, con l’Apoteosi dei Medici in quella che viene chiamata Sala degli Specchi;
  • la Cappella dei Magi affrescata da Benozzo Gozzoli nel 1459.

Poichè spesso la mia ricerca d’arte si focalizza nei palazzi, in un’immersione totale nella vita del tempo, piuttosto che nei musei in senso stretto, non potevano mancare gli appartamenti reali riaperti da poco al Palazzo Pitti.

Oggi Palazzo Pitti è sede di un meraviglioso complesso museale, di cui fanno parte: la Galleria Palatina e gli Appartamenti Reali; la Galleria d’Arte Moderna; il Tesoro dei Granduchi e il Museo della Moda e del Costume.

Edificato su commissione di un mercante e banchiere fiorentino di nome Luca Pitti, il palazzo fu acquistato da Cosimo I de Medici e divenne la nuova residenza ducale in cui si trasferì tutta la corte medicea.

Da allora tutte le famiglie regnanti vi hanno soggiornato: i Medici, i Lorena e infine i Savoia quando Firenze divenne capitale del Regno d’Italia

Attraversando la Galleria Palatina ti ritrovi ad ammirare una collezione straordinaria dei più grandi artisti del periodo rinascimentale e barocco, riuniti in un susseguirsi di sale ed emozioni:Raffaello, Botticelli, Filippo Lippi, Tiziano, Van Dyck, Caravaggio e Rubens.

Gli Appartamenti Reali sono un’armonia artistica e storica straordinaria: uno sfarzoso complesso di sale decorate e ammobiliate, dove risiedevano i membri delle famiglie regnanti, dai Medici ai Lorena, ai Savoia, con mobili provenienti dalle collezioni medicee, lorenesi e sabaude, dal Cinquecento all’Ottocento.

Ora immaginate di camminare in queste sale e di fantasticare sulla vita dei sovrani che per secoli hanno abitato questi ambienti.

Se siete in cerca di spazi suggestivi e diversi da visitare a Firenze, il quattrocentesco Palazzo degli Strozzini è sicuramente uno di questi, nella sua fusione tra cinema e libri. Il cinema Odeon proietta film dagli anni 20 del Novecento, ma oggi con una progetto innovativo al piano terra, dove decine di scaffali di libri, in cui è bellissimo perdersi, hanno preso il posto della platea.

Non poteva mancare un cremoso affogato al caffè in tazzina vintage bianca e blu, della gelateria Vivoli, diventato virale, a seguito di una campagna pubblicitaria del fotografo Sam Youkilis.

Questa giornata a Firenze è stata voluta fortemente così 🙂

Kafka sulla spiaggia.

Questo post sembrerebbe diverso dal tema delle Rondinelle in Viaggio, ma leggere un libro è pur sempre una forma di viaggio, poiché ha in sé le potenzialità di trasportarti verso luoghi lontani, persone affascinanti e storie incredibili.

Oggi colgo la sollecitazione di un’amica che mi dichiara come il mio modo di raccontare la incuriosisca, così lungi dal voler fare una recensione e attenta a non spoilerare troppo 🙂 cercherò di cimentarmi, in questa nuova sfida.

In questo ultimo anno mi sono “legata” allo scrittore Murakami, leggendo da ultimo uno dei suoi capolavori: Kafka sulla spiaggia.

ll filo conduttore del libro è un tema a me caro, una dimensione in cui il mondo dei vivi e quello dei morti sembra in qualche modo poter comunicare. Un argomento che tocca tutti noi da vicino, e che non a caso è ambientato in Giappone, paese la cui cultura e tradizione dedica molto spazio al culto dei morti e degli antenati. In questo libro, lo scrittore, si spinge oltre i confini del bene e del male, della vita e della morte, del reale e dell’immaginario, lasciando però qualcosa in sospeso.

Così Miss Seiki, sconvolta dal dolore per la perdita del suo amante, vuole andare nella città del bosco, il limbo tra la vita e la morte, ed aprire la porta d’ingresso. Si avvalle dell’aiuto di Johnny, un uomo che sfuggito alla morte, conosce bene quel luogo.

L’apertura, però, innesca qualcosa di pericoloso, gli spiriti dell’altro regno attraverseranno il regno dei vivi, creando una confusione nella metà che compongono l’intero di ognuno di noi. Ciò che accadrà obbligherà Seiki ha lasciare il figlio e ha fuggire, vivendo tormentata dai rimpianti, bloccata nel passato, consumata dai ricordi e aspettando solo di morire.

Tutti i personaggi sono in qualche modo incompleti e alla ricerca della loro metà, perché come racconta Hoshino :”Nell’antichità le persone non erano solo maschi o femmine, ma uno di tre tipi: maschio/maschio, maschio/femmina o femmina/femmina. In altre parole, ogni persona era composta dalle componenti di due persone. Tutti erano contenti di questa disposizione e non ci pensarono mai molto. Ma poi Dio prese un coltello e tagliò tutti a metà, proprio nel mezzo. Quindi, dopo di ciò, il mondo fu diviso solo in maschio e femmina, con il risultato che le persone passano il loro tempo a correre in giro cercando di localizzare la loro metà mancante.”

Tamura Kafka, decide di fuggire di casa a 15 anni per allontanarsi dal dolore di essere stato abbandonato dalla madre e dalla maledizione, di tipo onirica, lanciata dal padre, un artista geniale ma terrificante, che influenza la vita di Tamura in maniera irrazionale.

Le vicende di Tamura scorrono parallele a quelle del sig. Nakata, un anziano che in seguito a un incidente subito da bambino è rimasto mentalmente disabile, incapace di leggere ma in grado in compenso di parlare la lingua dei gatti, talento che però lo porterà a essere coinvolto in uno spaventoso delitto. I due personaggi seppur indissolubilmente legati non si incontreranno mai.

Seguendo cosi percorsi paralleli, che non tarderanno a sovrapporsi, il vecchio e il ragazzo avanzano nell’incomprensibile schivando numerosi ostacoli, ognuno proteso verso un obiettivo che ignora ma che rappresenterà il compimento del proprio destino. 

La profezia, che segna Kafka sin da piccolo, tira silenziosamente i fili della sua vita. Kafka arriverà ai confini del mondo, farà i conti con i fantasmi del passato, sconfiggerà la paura e i demoni e ritornerà cambiato, ma carico di un significato nuovo. Kafka, alla fine sarà pronto per un nuovo inizio, perché la vita è sempre un viaggio, l’inizio di qualcosa, e mai la fine.

Il finale, semplice e inaspettato, è carico di significato e il libro merita sicuramente più letture, per comprendere la serie di fili sciolti, che collegano i personaggi e i loro momenti relazionabili.

Consigliatissimo, ma non come primo libro di Murakami 😀.

All’ amica 🌸, spero di essere stata all’altezza.

Rocca Imperiale

Oggi vi raccontiamo Rocca Imperiale, con i suoi vicoli tortuosi che puntano al maestoso castello, in uno scenario incantevole, tra cielo e terra.

Il Castello fu voluto da Federico II, ed era uno dei luoghi di sosta preferiti del sovrano durante i suoi frequenti viaggi nel sud Italia, con un sistema difensivo, tra mura di cinta, artiglieria e macchine da getto, da resistere perfino all’invasione dei turchi, nel 1644.

La montagna dove sorge Rocca Imperiale si trovava sulla via più diretta tra la Sicilia e il cuore dei possedimenti svevi (Basilicata e Puglia). Tra l’altro dominava la costa ionica e consentiva di avvistare da lontano navi nemiche.

Dopo la morte di Federico II il castello divenne proprietà dei Cavalieri Templari, quindi passò di mano in mano tra diverse famiglie feudali.  Tra il XIX e il XX secolo seguirono anni di abbandono e degrado finché il castello non venne acquistato dalla famiglia Cappa (1903) che lo cedette al Comune di Rocca Imperiale nel 1989.

Al Castello si accede da un ponte che introduce nella Cittadella Militare, sovrastata da mura merlate, le stesse che poi circondano il fossato e il mastio centrale del maniero. Un secondo ponte più grande introduce nel castello vero e proprio, protetto da ben quattro torri.

l Castello presenta una pianta quadrangolare ed è delimitato da uno sperone roccioso. È dotato di torri: la Torre Polveriera, la Torre Frangivento ed il Ma-stio. Il tour si snoda tra le cucine, che conservano ancora le antiche cisterne e i fornelli, la Piazza d’Armi, i saloni di rappresentanza, le scuderie e le carceri.

Infine si raggiunge la terrazza panoramica dalla quale si staglia una vista a perdita d’occhio sul centro storico e sul mare.

Da quassù la vista si spinge fino al Golfo di Taranto!

Dopo la entusiasmante visita al castello, siamo scesi verso il borgo, che ha mantenuto quasi intatta la struttura urbana medievale – un intrico di vie, vicoli, scalinate e cortili – seppur nel 1644 fu devastata da una armata di 4000 saraceni, che non riuscì a prendere la fortezza ma distrusse parte dell’abitato originario.

La nostra giornata è terminata con un picnic tra il profumo inbriante dei limomi.

Come per varie zone della Calabria, Rocca Imperiale è avvolta in un delicato profumo di agrumi. Siamo in un autentico angolo di paradiso, circondati dalle limonaie secolari che da queste parti colorano il paesaggio di giallo acceso e inondano l’aria di profumi.

La varietà di limoni è assolutamente unica nel suo genere: il “limone rifiorente”,così chiamato per la fioritura multipla tutto l’anno (ben 4 fioriture con relativa produzione di frutti). Un agrume calabrese 100%, che in virtù del sapore gradevole, del profumo inebriante e delle proprietà organolettiche che lo rendono appetibile in cucina, pasticceria, distilleria e cosmesi, si impone come una delle eccellenze dell’agroalimentare in Calabria.

Un’altra bellissima domenica, dal ritmo lento ❤️